Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona  del  Presidente
della Giunta regionale  pro-tempore  Vasco  Errani,  autorizzato  con
deliberazione della Giunta regionale 14 novembre 2011, n. 1658  (doc.
1), rappresentata e difesa, come da procura a  margine  del  presente
atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, dall'avv.  prof.
Franco Mastragostino di Bologna e dall'avv. Luigi Manzi di Roma,  con
domicilio  eletto  in  Roma  nello  studio  di  quest'ultimo  in  via
Confalonieri n. 5; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 
    degli articoli 2, commi 1, 2, 3, 5 e 7; 
    dell'art. 3; 
    del  decreto  legislativo  6  settembre  2011,  n.  149,  recante
Meccanismi sanzionatori e premiali relativi  a  regioni,  province  e
comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio  2009,
n. 42, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 20 settembre 2011, n. 219, 
per violazione: 
    degli articoli 3, 5, 24, 76, 77, comma 1, 97, 100, 103, 114, 117,
118, 119, 120, 121, 122. 123 e 126 della Costituzione; 
    dei principi di leale collaborazione, ragionevolezza  e  certezza
del diritto, 
per i profili di seguito illustrati. 
 
                                Fatto 
 
    1. La legge di  delega  che  sta  alla  base  delle  disposizioni
impugnate. 
    La legge 5 maggio 2009, n. 42, ha conferito una Delega al Governo
in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119  della
Costituzione. 
    L'art. 2, comma 2, di tale  legge  (Oggetto  e  finalita')  fissa
alcuni «principi e criteri direttivi  generali»,  che  si  affiancano
agli «specifici  principi  e  criteri  direttivi»  fissati  in  altre
specifiche disposizioni della stessa legge. 
    Va qui ricordato in particolare, tra i criteri fissati dal  comma
2, quello previsto alla lettera z), ove si contempla: 
    la  «premialita'  dei  comportamenti   virtuosi   ed   efficienti
nell'esercizio della potesta' tributaria, nella gestione  finanziaria
ed economica»; 
    la «previsione di meccanismi sanzionatori per gli  enti  che  non
rispettano gli equilibri  economico-finanziari  o  non  assicurano  i
livelli essenziali delle prestazioni di  cui  all'art.  117,  secondo
comma, lettera m), della Costituzione o  l'esercizio  delle  funzioni
fondamentali di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera  p),  della
Costituzione»; 
    la «previsione delle specifiche modalita' attraverso le quali  il
Governo, nel caso in cui la regione o l'ente locale  non  assicuri  i
livelli essenziali delle prestazioni di  cui  all'art.  117,  secondo
comma, lettera m), della Costituzione, o l'esercizio  delle  funzioni
fondamentali di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera  p),  della
Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di  convergenza  di
cui  all'art.  18  della  presente  legge   abbiano   caratteristiche
permanenti e  sistematiche,  adotta  misure  sanzionatorie  ai  sensi
dell'art. 17, comma 1, lettera e), che sono  commisurate  all'entita'
di tali scostamenti e possono  comportare  l'applicazione  di  misure
automatiche   per   l'incremento   delle   entrate   tributarie    ed
extra-tributarie, e puo' esercitare nei casi  piu'  gravi  il  potere
sostitutivo di cui all'art. 120, secondo comma,  della  Costituzione,
secondo quanto disposto dall'art. 8 della legge  5  giugno  2003,  n.
131, e secondo  il  principio  di  responsabilita'  amministrativa  e
finanziaria». 
    L'art. 17, comma 1, lettera e) legge  n.  42/2009,  al  quale  si
riferisce la disposizione ultima citata, prevede, tra l'altro: 
    la «introduzione nei confronti degli enti meno virtuosi  rispetto
agli obiettivi di finanza pubblica di un sistema  sanzionatorio  che,
fino alla dimostrazione della messa in atto di provvedimenti,  fra  i
quali anche l'alienazione di beni mobiliari e immobiliari  rientranti
nel patrimonio  disponibile  dell'ente  nonche'  l'attivazione  nella
misura massima dell'autonomia  impositiva,  atti  a  raggiungere  gli
obiettivi, determini il divieto di procedere alla copertura di  posti
di ruolo vacanti nelle piante organiche e di  iscrivere  in  bilancio
spese per attivita' discrezionali, fatte salve  quelle  afferenti  al
cofinanziamento regionale o dell'ente locale per  l'attuazione  delle
politiche comunitarie»; 
    la «previsione di meccanismi automatici sanzionatori degli organi
di Governo e  amministrativi  nel  caso  di  mancato  rispetto  degli
equilibri  e  degli  obiettivi  economico-finanziari  assegnati  alla
regione  e  agli  enti  locali,  con  individuazione  dei   casi   di
ineleggibilita' nei confronti degli amministratori responsabili degli
enti locali per i quali sia stato dichiarato  lo  stato  di  dissesto
finanziario di cui all'art. 244 del citato  testo  unico  di  cui  al
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, oltre  che  dei  casi  di
interdizione dalle cariche in enti vigilati  o  partecipati  da  enti
pubblici.» (enfasi aggiunta). 
    La stessa disposizione precisa poi  che  «tra  i  casi  di  grave
violazione  di  legge  di  cui  all'art.  126,  primo  comma,   della
Costituzione, rientrano le attivita' che  abbiano  causato  un  grave
dissesto nelle finanze regionali» (enfasi aggiunta). 
    Sul piano procedurale,  l'art.  2,  comma  3,  legge  n.  42/2009
stabilisce che «gli schemi di decreto legislativo, previa  intesa  da
sancire in sede di Conferenza unificata  ai  sensi  dell'art.  3  del
decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  sono  trasmessi  alle
Camere», e che «in mancanza di intesa nel termine di cui  all'art.  3
del decreto legislativo 28 agosto 1997,  n.  281,  il  Consiglio  dei
ministri delibera, approvando una relazione  che  e'  trasmessa  alle
Camere»; si aggiunge che «nella relazione sono indicate le specifiche
motivazioni per cui l'intesa non e' stata raggiunta». Nel comma 5  si
ribadisce che «il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti
legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni  e
gli enti locali». 
    2. Il decreto legislativo n. 149 del 2011. 
    A tali norme il Governo ha ritenuto di  dare  attuazione  con  il
decreto legislativo n. 149/2011, intitolato Meccanismi sanzionatori e
premiali relativi  a  regioni,  province  e  comuni,  a  norma  degli
articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42. 
    In primo luogo e' da  sottolineare  che  l'intesa  non  e'  stata
raggiunta. 
    Nella relazione deliberata dal Consiglio dei ministri (doc. 2) ai
sensi del succitato art.  2,  comma  3,  il  Governo  ha  addotto  le
seguenti  ragioni:  «in  primo  luogo,  il  Governo  ritiene  che  il
provvedimento sia del tutto conforme a  Costituzione,  oltre  che  ai
principi e criteri direttivi della legge delega n. 42 del 2009, e che
esso individui meccanismi e procedure  per  una  piena  realizzazione
degli obiettivi  perseguiti  dalla  legge»;  «in  secondo  luogo,  il
Governo ha dovuto tenere  conto  dei  tempi  a  disposizione  per  il
rispetto dei termini  previsti  dalla  legge  per  l'esercizio  della
delega, di imminente  scadenza»;  «inoltre,  i  rappresentanti  delle
autonomie territoriali in Conferenza unificata non hanno ritenuto  di
potere sancire l'intesa, neppure subordinatamente all'accoglimento di
alcune modificazioni significative per  le  quali  il  Governo  aveva
prospettato ampia disponibilita'». 
    Sin d'ora e' agevole rilevare la mancanza  di  reali  «specifiche
motivazioni» e l'assoluta genericita' delle  ragioni  addotte,  anche
considerando il fatto che neppure il  verbale  della  seduta  del  18
maggio 2011 (doc. 3) spiega perche' il Governo  ritenga  infondati  i
rilievi sollevati dagli enti territoriali ne' indica le modifiche che
esso  sarebbe   stato   disposto   ad   apportare   (peraltro,   tale
disponibilita' non risulta dal verbale del 18  maggio  2011,  ove  si
accenna solo, genericamente, ad una «disponibilita' ... a  proseguire
il confronto con le Regioni e gli Enti locali nell'ulteriore iter del
provvedimento in esame»). 
    L'art.  2  decreto  legislativo   n.   149/2011   e'   intitolato
Responsabilita' politica del presidente della  giunta  regionale.  Al
comma 1 esso introduce la «fattispecie di grave dissesto finanziario,
con riferimento al disavanzo sanitario». Questa «si verifica  in  una
regione assoggettata a piano di rientro ai sensi dell'art.  2,  comma
77,  della  legge  23  dicembre  2009,   n.   191,   al   verificarsi
congiuntamente delle seguenti condizioni: 
    a) il presidente della giunta regionale, nominato Commissario  ad
acta ai sensi dell'art. 2,  rispettivamente  commi  79  e  83,  della
citata legge n. 191 del 2009, non abbia  adempiuto,  in  tutto  o  in
parte, all'obbligo di redazione del piano di rientro o agli  obblighi
operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso; 
    b) si riscontri, in sede di verifica annuale, ai sensi  dell'art.
2, comma  81,  della  citata  legge  n.  191  del  2009,  il  mancato
raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con  conseguente
perdurare del disavanzo sanitario  oltre  la  misura  consentita  dal
piano medesimo o suo aggravamento; 
    c) sia stato adottato per due esercizi consecutivi,  in  presenza
del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro e del
conseguente incremento delle aliquote  fiscali  di  cui  all'art.  2,
comma 86, della citata legge n. 191 del 2009, un ulteriore incremento
dell'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF al livello massimo
previsto dall'art. 6 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68». 
    Il comma 2 dispone che il «grave dissesto finanziario di  cui  al
comma 1 "costituisce" grave violazione di legge», e che «in tal  caso
con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'art.  126,
comma primo, della Costituzione, sono disposti  lo  scioglimento  del
Consiglio regionale nonche' la rimozione del Presidente della  Giunta
regionale  per  responsabilita'  politica  nel  proprio  mandato   di
amministrazione della regione, ove  sia  accertata  dalla  Corte  dei
conti la sussistenza delle condizioni di cui al comma  1  e  la  loro
riconduzione alla diretta responsabilita', con dolo o colpa grave del
Presidente della Giunta regionale» (enfasi aggiunta). 
    Il decreto del Presidente della Repubblica  «e'  adottato  previa
deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del  Presidente
del Consiglio dei ministri, previo parere conforme della  Commissione
parlamentare per le questioni regionali espresso a maggioranza di due
terzi dei componenti», ed alla riunione del  Consiglio  dei  Ministri
«partecipa il Presidente della Giunta regionale interessato». 
    In base al comma 3 «il Presidente rimosso ai sensi del comma 2 e'
incandidabile alle cariche  elettive  a  livello  locale,  regionale,
nazionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni»; inoltre,
esso «non puo' essere nominato quale componente  di  alcun  organo  o
carica di Governo degli enti locali, delle  Regioni,  dello  Stato  e
dell'Unione europea per un periodo di tempo di dieci anni». 
    L'art. 3 decreto legislativo n. 149/2011 e' intitolato  Decadenza
automatica e interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei
conti. 
    Esso dispone al comma 1 che «il verificarsi  del  grave  dissesto
finanziario  di  cui  all'art.  2  determina   l'applicazione   delle
disposizioni di cui all'art. 2, comma 79, lettera a), della legge  23
dicembre 2009,  n.  191,  in  materia  di  decadenza  automatica  dei
direttori   generali   e,   previa    verifica    delle    rispettive
responsabilita' del dissesto, dei direttori amministrativi e sanitari
degli  enti  del  Servizio   sanitario   regionale,   del   dirigente
responsabile  dell'assessorato  regionale  competente,  nonche'   dei
componenti del collegio dei revisori dei conti». 
    Il comma 2 dispone che «agli stessi soggetti di cui al comma 1 si
applica altresi' l'interdizione da qualsiasi carica in enti  vigilati
o partecipati da enti pubblici per  un  periodo  di  tempo  di  dieci
anni»; che la sanzione dell'interdizione «e' irrogata con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per i
rapporti con le regioni e per la coesione  territoriale»  e  che  «il
giudizio sulla relativa impugnazione e' devoluto  alla  giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo». 
    Infine,  il  comma  3  dispone  che  «qualora,  a  seguito  della
dichiarazione  di  dissesto,  la  Corte  dei  conti   accerti   gravi
responsabilita' nello svolgimento  dell'attivita'  del  collegio  dei
revisori delle Regioni, ove costituito, e degli  enti  alle  medesime
riconducibili, i componenti del collegio riconosciuti responsabili in
sede di giudizio della predetta Corte non possono essere nominati nel
collegio dei revisori delle regioni, degli enti  locali  e  di  altri
enti pubblici per un periodo fino a dieci  anni,  in  funzione  della
gravita' accertata». Dispone inoltre che la Corte dei conti trasmetta
«l'esito  dell'accertamento   anche   all'ordine   professionale   di
appartenenza dei  revisori  per  valutazioni  inerenti  all'eventuale
avvio di procedimenti disciplinari». 
    Ad  avviso  della  ricorrente  della  Regione  Emilia-Romagna  le
succitate  norme  contenute  negli  articoli  2  e  3   del   decreto
legislativo n. 149/2011 risultano illegittime e lesive delle  proprie
competenze costituzionali per le seguenti ragioni di 
 
                               Diritto 
 
I. Illegittimita' costituzionale di tutte le  disposizioni  impugnate
per vizio del procedimento di formazione del decreto legislativo,  in
relazione  alla  mancata  ricerca  dell'intesa  e  motivazione  della
mancata intesa. 
    Come esposto in narrativa, l'art. 2 della legge di delega  n.  42
del 2009, cosi' disciplina, per quanto qui interessa, il procedimento
di adozione dei decreti delegati: 
    «3. I decreti legislativi di cui al  comma  1  sono  adottati  su
proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per
le riforme per il federalismo, del Ministro  per  la  semplificazione
normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del  Ministro
per le politiche europee, di concerto con il  Ministro  dell'interno,
con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con
gli altri Ministri volta a volta competenti nelle materie oggetto  di
tali decreti. Gli schemi di decreto  legislativo,  previa  intesa  da
sancire in sede di Conferenza unificata  ai  sensi  dell'art.  3  del
decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  sono  trasmessi  alle
Camere, ciascuno corredato di  relazione  tecnica  che  evidenzi  gli
effetti delle disposizioni recate dal medesimo schema di decreto  sul
saldo   netto   da   finanziare,   sull'indebitamento   netto   delle
amministrazioni pubbliche e  sul  fabbisogno  del  settore  pubblico,
perche' su di essi sia espresso il parere della  Commissione  di  cui
all'art.  3  e  delle  Commissioni  parlamentari  competenti  per  le
conseguenze di carattere finanziario,  entro  sessanta  giorni  dalla
trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all'art. 3 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri
delibera, approvando una relazione  che  e'  trasmessa  alle  Camere.
Nella relazione sono  indicate  le  specifiche  motivazioni  per  cui
l'intesa non e' stata raggiunta. 
    4. Decorso il termine per l'espressione  dei  pareri  di  cui  al
comma 3, i decreti possono  essere  comunque  adottati.  Il  Governo,
qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i
testi  alle  Camere  con  le  sue  osservazioni   e   con   eventuali
modificazioni  e  rende  comunicazioni  davanti  a  ciascuna  Camera.
Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i  decreti
possono comunque essere adottati in via definitiva  dal  Governo.  Il
Governo,  qualora,  anche  a  seguito  dell'espressione  dei   pareri
parlamentari,  non  intenda  conformarsi  all'intesa   raggiunta   in
Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa  Conferenza
unificata una relazione  nella  quale  sono  indicate  le  specifiche
motivazioni di difformita' dall'intesa. 
    5.  Il  Governo  assicura,  nella  predisposizione  dei   decreti
legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni  e
gli enti locali.». 
    Era dunque prevista la previa intesa con la Conferenza  unificata
sugli schemi di decreto legislativo da inviare alle Camere, e, per il
caso di mancanza di intesa una relazione che indicasse «le specifiche
motivazioni per cui  l'intesa  non  e'  stata  raggiunta».  A  queste
prescrizioni specifiche, che di per se' sarebbero state  sufficienti,
il  legislatore  delegante  aveva  voluto  aggiungere  una  ulteriore
prescrizione generale di indirizzo, facendo  obbligo  al  Governo  di
assicurare, nella  predisposizione  dei  decreti  legislativi  «piena
collaborazione con le regioni e gli enti locali.». 
    Sembra palese che nell'emanazione del decreto legislativo n.  149
del 2011 questo procedimento non e' stato rispettato. 
    Che  l'intesa  prevista  non  sia  stata  raggiunta  risulta  dal
preambolo stesso del decreto. Ci si attenderebbe dunque di ritrovarne
le specifiche motivazioni nella Relazione inviata alle Camere. 
    Tuttavia, in essa il Governo si limita a riferire degli  incontri
in sede tecnica e in sede di Conferenza e della «mancata condivisione
- in particolare da parte di Regioni e Comuni  -  del  contenuto  del
provvedimento», accennando soltanto alle  «forti  perplessita'  sulla
costituzionalita' del provvedimento, in modo particolare con riguardo
alla disciplina del fallimento politico del Presidente  della  Giunta
regionale». 
    Nulla  invece  si  dice  in  merito  alle  specifiche   obiezioni
sollevate dai rappresentanti delle Regioni e  degli  enti  locali.  A
questo modo non solo si e' contravvenuto alla legge di delega, ma  si
e' nella sostanza impedito agli organi parlamentari di  valutare  nel
concreto i motivi della mancata intesa. 
    Lo ha del resto rilevato lo stesso Comitato per  la  legislazione
della Camera dei Deputati. Nel verbale della seduta di  mercoledi'  6
luglio 2011 (all. doc. 4) si nota  espressamente  «che  la  relazione
trasmessa alle Camere da' conto in modo estremamente  succinto  delle
motivazioni per le quali l'intesa non e' stata raggiunta, nonche', in
modo altrettanto succinto, delle ragioni che hanno indotto il Governo
a procedere, tra le quali si menziona l'esigenza di "tenere conto dei
tempi a disposizione per il rispetto dei termini previsti dalla legge
per l'esercizio della delega, di imminente  scadenza",  ancorche'  la
recentissima legge 8 giugno 2011, n. 85, abbia  prorogato  i  termini
per l'esercizio della delega di cui alla legge n. 42 del 2009 dal  21
maggio al 21 novembre 2011, ferma restando, altresi', la possibilita'
dello scorrimento del termine finale». 
    Dunque, il Comitato per la legislazione ha esso stesso constatato
da un lato che non erano indicate le specifiche  motivazioni  che  la
legge  richiedeva,  dall'altro  che   il   presupposto   dell'urgenza
accampato come pretesto per la mancata ulteriore ricerca  dell'intesa
non vi era affatto. 
    Al  contrario,  il  Governo  ha  preteso  di   giustificare   con
l'imminenza della scadenza della delega l'immediata interruzione  del
dialogo con le Regioni e gli  enti  locali  cosi'  fortemente  voluto
dalla legge n. 42 (che lo ha posto sotto la supervisione agli  organi
parlamentari), mentre  contemporaneamente  chiedeva  ed  otteneva  la
proroga dei termini di scadenza proprio al fine di ... rispettare  il
procedimento prescritto. 
    Sembra dunque evidente che e' stata violata non solo  la  lettera
delle specifiche disposizioni dettate dal legislatore  delegante,  ma
anche la norma generale di indirizzo, che richiedeva uno  spirito  di
collaborazione, e dunque un tenace tentativo di ricerca dell'intesa. 
    Si deve concludere che il procedimento prescritto dalla legge  di
delega e' stato ridotto  dal  Governo  ad  un  passaggio  procedurale
meramente formale, che non  risponde  ne'  nella  lettera  ne'  nello
spirito ai requisiti posti dalla legge, a  tutela  delle  prerogative
sia delle Regioni e degli enti locali, sia degli organi  parlamentari
chiamati a vigilare che il Governo abbia assicurato - come prevede il
comma 5 dell'art. 2 - la «piena collaborazione con le regioni  e  gli
enti locali». 
    Da qui la violazione degli articoli 76 e 114 della  Costituzione,
nonche' del principio di leale collaborazione. 
II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo
n. 149/2011. 
    1. Illegittimita' per eccesso di delega (art. 76 Cost.). 
    La presente censura e' rivolta ad illustrare come le disposizioni
impugnate dell'art. 2 del decreto legislativo n.  149  del  2011  non
solo siano lesive dell'autonomia regionale, ma violino in piu'  punti
i principi costituzionali della delegazione legislativa, introducendo
norme e istituti che non sono in alcun modo «anticipati» dalla  legge
di delega n. 42 del 2009. 
    E' infatti principio fermo che in fase di emanazione del  decreto
legislativo, il Governo non  possa  introdurre  principi  o  istituti
nuovi rispetto a quelli previsti dalla legislazione vigente,  se  non
appositamente autorizzato da un principio  indicato  nella  legge  di
delega. 
    Tale principio  e'  pienamente  confermato  dalla  giurisprudenza
costituzionale: per l'illustrazione si puo' fare riferimento, tra  le
tante, alle sentenze della Corte cost.  354/1998  (sul  codice  della
strada), 280/2004 (a  proposito  della  c.d.  «legge  La  Loggia»)  e
340/2007 (sul processo contumaciale), 239/2003, 66/2005. 
    Spetta  dunque  alla  legge  di  delega  «aprire  i  varchi»  per
l'innovazione  legislativa,  perche'   in   assenza   di   specifiche
indicazioni di delega  l'attivita'  legislativa  svolta  dal  Governo
incontra un suo limite «naturale» nella legislazione vigente, che  il
legislatore delegato e'  allora  chiamato  ad  integrare,  ma  non  a
contraddire. 
    La giurisprudenza costituzionale lo  ha  indicato  con  specifico
riferimento alle leggi di riordino, ma affermando una  ratio  che  si
estende  all'istituto  stesso  della  delegazione  legislativa:   «in
mancanza di principi e criteri direttivi che giustifichino la riforma
della normativa preesistente, la delega deve essere intesa  in  senso
minimale, tale da non consentire, di per  se',  l'adozione  di  norme
delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema  legislativo»
(cosi' espressamente la sentenza n. 303/2005). 
    Se e' pur vero che «i principi e i criteri direttivi della  legge
di delegazione devono essere interpretati  sia  tenendo  conto  delle
finalita' ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del
legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte operate dal
legislatore  delegato  non  siano  in  contrasto  con  gli  indirizzi
generali della stessa legge-delega» (sentenza 341/2007), non si  puo'
certo ammettere un'interpretazione della delega a tal punto espansiva
da consentire al Governo di ricavarne l'autorizzazione a  modificare,
senza specifiche indicazioni  in  tal  senso,  tratti  rilevantissimi
dell'assetto istituzionale delle Regioni e degli enti locali, in  una
direzione che gravemente  incide  sulle  norme  che  la  Costituzione
appresta a garanzia dell'autonomia regionale. 
    Ora, come esposto in narrativa, la legge n. 42/2009 contiene  due
disposizioni che servono a guidare il Governo  nell'attuazione  della
delega per quanto riguarda i meccanismi  sanzionatori  nei  confronti
degli enti che siano responsabili di un dissesto finanziario: 
    la lettera z) dell'art. 2 sollecita la «previsione di  meccanismi
sanzionatori  per  gli  enti  che  non   rispettano   gli   equilibri
economico-finanziari» ... e la «previsione delle specifiche modalita'
attraverso le quali il Governo, ... qualora gli scostamenti dal patto
di convergenza di  cui  all'art.  18  della  presente  legge  abbiano
caratteristiche   permanenti   e    sistematiche,    adotta    misure
sanzionatorie ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettera  e),  che  sono
commisurate all'entita' di  tali  scostamenti  e  possono  comportare
l'applicazione di misure automatiche per l'incremento  delle  entrate
tributarie ed extra-tributarie, e puo' esercitare nei casi piu' gravi
il potere sostitutivo di  cui  all'art.  120,  secondo  comma,  della
Costituzione, secondo quanto  disposto  dall'art.  8  della  legge  5
giugno 2003, n.  131,  e  secondo  il  principio  di  responsabilita'
amministrativa e finanziaria»; 
    la lettera  e)  del  successivo  art.  17  prevede  a  sua  volta
«meccanismi  automatici  sanzionatori  degli  organi  di  Governo   e
amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri  e  degli
obiettivi economico-finanziari assegnati alla  regione  e  agli  enti
locali» con  la  specifica  previsione  che  «tra  i  casi  di  grave
violazione  di  legge  di  cui  all'art.  126,  primo  comma,   della
Costituzione, rientrano le attivita' che  abbiano  causato  un  grave
dissesto nelle finanze regionali». 
    Dalla lettura combinata delle due disposizioni si ricava  che  il
decreto delegato puo' prevedere: 
    a) misure automatiche per l'incremento delle entrate al  fine  di
rimediare agli scostamenti permanenti  e  sistematici  dal  patto  di
stabilita', giungendo sino all'esercizio del  potere  sostitutivo  ex
art. 120, comma 2, Cost.  (in  questo  senso  si  esprime  l'art.  2,
lettera z); 
    b) meccanismi  automatici  sanzionatori  a  carico  degli  organi
politici  e  amministrativi  colpevoli  del  mancato  rispetto  degli
equilibri ed obiettivi  economico  finanziari,  giungendo  sino  alla
configurazione  del  grave  dissesto  nelle  finanze  regionali  come
ipotesi di «grave violazione di legge» che  porta  allo  scioglimento
degli organi regionali ex art. 126 Cost. 
    Questi sono dunque gli oggetti che il legislatore ha affidato  al
decreto  legislativo,  che  segnano  anche  i  limiti  della  delega.
Inoltre, bisogna tenere conto della circostanza che, come  subito  si
dira', lo stesso legislatore ha continuato ad  esercitare  il  potere
legislativo, precisando  esso  stesso  il  tipo  di  svolgimento  che
intendeva dare alla legislazione in materia. 
    a.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  1,  per
eccesso di delega (art. 76 Cost.) in  quanto  introduce  la  autonoma
fattispecie  di  grave  dissesto  finanziario,  con  riferimento   al
disavanzo sanitario e collega ad esso  la  rimozione  del  Presidente
della Giunta regionale. 
    L'art. 2 del decreto legislativo n.  149/2011  si  presenta  come
attuazione delle norme sopra indicate della legge di  delega,  ma  in
realta' se ne allontana sotto tre profili essenziali: in quanto  crea
una  autonoma  fattispecie  di  grave   dissesto   finanziario,   con
riferimento  al  disavanzo  sanitario;  in  quanto  collega  a   tale
«fattispecie», anziche' a specifiche gravi violazioni  di  legge,  la
rimozione del Presidente della Giunta regionale  ai  sensi  dell'art.
126 Cost.; infine, in quanto collega tale  rimozione  alle  attivita'
che il Presidente della Regione compie non in quanto tale,  ma  nella
sua opera di Commissario statale nominato dal  Governo.  Sotto  tutti
questi profili l'art. 2 del decreto legislativo n. 149/2011 introduce
una disciplina che esorbita  dal  potere  conferito  dalla  legge  di
delega, interpretandolo in  modo  palesemente  incompatibile  con  la
Costituzione. 
    In primo luogo, il decreto legislativo  impugnato,  nell'art.  2,
estende alla Regione un regime - quello del  dissesto  finanziario  -
che e' tipico degli enti locali. 
    Nella legge di delega non c'e' alcun fondamento  che  giustifichi
questa estensione: manca qualsiasi riferimento alla  «fattispecie  di
grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo  sanitario»,
fattispecie che di conseguenza e' «creata ex  novo»  dal  legislatore
delegato. 
    Questa innovazione introduce per le Regioni un istituto del tutto
nuovo, di gravissima portata giuridica, simbolica e politica: ma essa
manca del necessario apporto «di principio» da parte della  legge  n.
42/2009. 
    Infatti, l'art. 17, lettera e) si riferisce genericamente ad  una
situazione di grave dissesto delle finanze  regionali  come  premessa
per  far  scattare  il  procedimento  di  scioglimento  degli  organi
regionali, ove ne ricorrano i presupposti. Non si puo'  certo  negare
che anche il dissesto finanziario  possa  essere  causato  da  «gravi
violazioni di legge» e quindi far  scattare  la  gravissima  sanzione
dello scioglimento. 
    Si noti - ed e' il secondo profilo qui considerato - che la legge
di delega afferma che «tra i casi di grave violazione di legge di cui
all'art. 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attivita'
che abbiano  causato  un  grave  dissesto  nelle  finanze  regionali»
(enfasi aggiunta): ma cio' non autorizza certo a  concludere  che  il
grave dissesto - che in ogni caso non coincide con  la  «fattispecie»
sopra censurata - sia o possa essere di per se' la  grave  violazione
di legge. 
    Al contrario, sono le specifiche violazioni che  potranno  essere
ritenute gravi quando conducono al dissesto. 
    In  questo  senso  la  disposizione  della  legge  di  delega  e'
perfettamente compatibile con l'interpretazione consolidata dell'art.
126 Cost. (si ricorda che «anche per  le  leggi  di  delega  vale  il
fondamentale canone per cui deve essere  preferita  l'interpretazione
che le ponga al riparo da sospetti di incostituzionalita'»:  sentenza
292/2000): ma per la  stessa  ragione  invece  l'interpretazione  che
l'art. 2 comma 2 - in connessione  con  il  comma  1  -  ne  ha  dato
contrasta con la legge di delega. 
    E' dunque del tutto illegittima l'introduzione di un nuovo regime
complessivo  (la  «fattispecie»   di   grave   dissesto   finanziario
sanitario) e la connessione automatica  di  questa  fattispecie  alla
sanzione dello scioglimento. 
    Tale connessione costituisce anche - come si dira'  -  violazione
diretta dell'art. 126 Cost., ma qui viene  prima  ancora  in  rilievo
come violazione della legge di delega. 
    Ai due profili indicati di violazione della delega si aggiunge il
terzo pure sopra annunciato: il meccanismo automatico della rimozione
del  Presidente  della  Regione  non  viene   fatto   dipendere   dal
comportamento del Presidente della Regione  in  quanto  tale,  ma  in
quanto commissario dal Governo, ai sensi dell'art. 2, commi 79 e  83,
della legge n. 191 del 2009. 
    Ora, se e'  vero  che  vi  e'  coincidenza  personale  necessaria
(peraltro per scelta della stessa legge statale) tra  la  figura  del
commissario governativo e quella del Presidente della  Regione,  cio'
non  basta  a  superare  il  rilievo   che   le   due   figure   sono
istituzionalmente e giuridicamente diverse. La gestione commissariale
viene  quindi  a  sostituirsi  alla  gestione  da  parte  dell'organo
ordinario, che rappresenta il  vertice  politico  della  Regione.  Il
Commissario e' infatti responsabile nei confronti del Governo, che in
principio ha potere di indirizzo nei suoi confronti; il Presidente e'
invece  responsabile  nei  confronti  dell'Assemblea  regionale,  che
mantiene nei suoi confronti (e nei termini definiti dallo Statuto) il
potere  di  indirizzo  politico.  Appare  di  conseguenza  del  tutto
incongruo che al Presidente della Regione, in quanto organo politico,
si comminino sanzioni assai rilevanti sul piano politico imputandogli
comportamenti tenuti nella  veste  commissariale,  nella  quale  egli
opera in raccordo con gli organi di governo statali. 
    Anche di cio' non c'e' la minima traccia nella legge  di  delega,
che prospetta lo scioglimento come sanzione alle gravi violazioni  di
legge, che portino al dissesto, compiute dal Presidente, e non  certo
dal Commissario nominato dal Governo stesso. 
    b.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  3,  per
eccesso  di  delega  in  quanto  sancisce  l'incandidabilita'  e   la
non-nominabilita' del Presidente rimosso. 
    Il comma 3 dell'art. 2 prevede che il Presidente  della  Regione,
rimosso ai sensi del secondo comma, sia «incandidabile  alle  cariche
elettive a livello locale, regionale, nazionale  ed  europeo  per  un
periodo di dieci anni», aggiungendo che lo stesso non possa,  per  lo
stesso periodo, «essere nominato quale componente di alcun  organo  o
carica di governo degli enti locali, delle  Regioni,  dello  Stato  e
dell'Unione europea». 
    Ad avviso della ricorrente Regione, tale  disposizione  viola  la
legge di delega - con violazione  dell'autonomia  regionale  -  sotto
diversi profili. 
    In primo luogo, per la ragione che la legge di  delega  non  pone
gli organi regionali tra i possibili destinatari delle sanzioni sopra
indicate. 
    Lo si constata facilmente esaminando i tre meccanismi legislativi
specifici che il legislatore delegato e' autorizzato dalla  legge  di
delega ad introdurre: 
    a) il sistema premiale e' destinato ad applicarsi  nei  confronti
degli enti «virtuosi» secondo i parametri indicati,  e  l'espressione
enti e' cosi' ampia da potervi comprendere sia  le  regioni  che  gli
enti locali; 
    b) un sistema sanzionatorio, riservato agli  enti  meno  virtuosi
rispetto agli obiettivi di finanza pubblica,  da  applicarsi  in  via
transitoria  («fino  alla  dimostrazione  della  messa  in  atto   di
provvedimenti, fra i quali anche l'alienazione di  beni  mobiliari  e
immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile  dell'ente  nonche'
l'attivazione nella misura  massima  dell'autonomia  impositiva»),  e
consistente (1) nel divieto di procedere alla copertura di  posti  di
ruolo vacanti nelle piante organiche, (2) nel divieto di iscrivere in
bilancio  spese  per  attivita'  discrezionali  (fatte  salve  quelle
afferenti  al  cofinanziamento  regionale  o  dell'ente  locale   per
l'attuazione delle politiche comunitarie); anche  questo  sistema  si
applica sia alle Regioni che agli enti locali; 
    c) vi sono infine  i  meccanismi  automatici  sanzionatori  degli
organi di Governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli
equilibri  e  degli  obiettivi  economico-finanziari  assegnati  alla
regione e agli enti locali. Questi meccanismi sono individuati  nella
legge di delega in (1) casi di ineleggibilita'  nei  confronti  degli
amministratori responsabili degli enti locali per i quali  sia  stato
dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui all'art.  244  del
citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto  2000,  n.
267, (2) casi di  interdizione  dalle  cariche  in  enti  vigilati  o
partecipati  da  enti  pubblici,  e  (3)   attivazione   dei   poteri
sanzionatori  ex  art.  126  Cost.,  equiparando  ai  casi  di  grave
violazione di legge ivi previsti «le attivita' che abbiano causato un
grave dissesto nelle finanze regionali». 
    Ora, mentre  i  meccanismi  previsti  ai  numeri  2)  e  3)  sono
sicuramente riferibili tanto alle Regioni che agli  enti  locali,  il
meccanismo sub 1) e'  chiaramente  riferito  dalla  legge  agli  enti
locali e solo ad essi. Proprio percio', del resto, la legge di delega
fa riferimento espresso all'art. 244 del TUEL, decreto legislativo n.
267/2000. 
    Dunque, l'introduzione di un meccanismo automatico  che  sanziona
l'ipotesi di dissesto finanziario riferibile  alle  Regioni,  con  le
conseguenze previste dall'art. 2, comma 3, del decreto legislativo n.
149, cioe' la incandidabilita' del Presidente «rimosso» e la sua «non
nominabilita'»  risultano  chiaramente  fuori  dalle  misure  che  il
Governo delegato era autorizzato ad assumere. 
    La violazione viene in considerazione qui come  violazione  della
legge  di  delega,  che  si  traduce  in  restrizione  dell'autonomia
regionale: ma essa, come si dira',  costituisce  altresi'  violazione
dell'autonomia legislativa assicurata alla Regione dall'art. 122,  in
materia di sistema  di  elezione  e  casi  di  ineleggibilita'  e  di
incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta
regionale. 
    In secondo luogo,  la  stessa  disposizione  viola  la  legge  di
delega, in danno  dell'autonomia  regionale,  anche  in  quanto  essa
introduce la sanzione della «incandidabilita'» laddove  la  legge  di
delega parla soltanto di «ineleggibilita'» degli amministratori degli
enti dichiarati in stato di dissesto finanziario. Le due figure  sono
radicalmente diverse per ratio e per disciplina  giuridica,  come  la
giurisprudenza costituzionale ha sempre sottolineato (si  vedano  per
esempio le sentenze 377/2003 132/2001 84/2006). 
    Inoltre, laddove la legge di delega prevede  che  possano  essere
individuati i «casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati  o
partecipati da enti pubblici», l'art. 2, comma 3, nella seconda parte
della norma, estende invece l'interdizione alle  cariche  di  enti  e
organi «politici» che nulla hanno a  che  fare  con  quelli  indicati
nella legge n. 42. 
    Cio'  a  prescindere  dal  difetto   di   ragionevolezza   e   di
proporzionalita' della sanzione, su cui si tornera' tra breve. 
    2.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  1   per
contrasto con legislazione parlamentare successiva alla delega. 
    Sotto questo profilo ha rilevanza e precedenza logica la  censura
dell'art.  2,  comma  1,  del  decreto  n.  149/2001,  in  quanto  la
disciplina che essi introducono a proposito del disavanzo sanitario e
del  regime  di  rientro  incide  sulla  legislazione   emanata   dal
Parlamento successivamente  all'entrata  in  vigore  della  legge  di
delega. 
    Infatti le norme dell'art. 1 del decreto legislativo n. 149 vanno
a modificare ampiamente le previsioni contenute dall'art. 2, comma 77
e seguenti, della legge n. 191 del 2009, relativa ai piani di rientro
dal disavanzo finanziario, collegando una nuova e diversa  catena  di
effetti sanzionatori alla mancata realizzazione degli  obiettivi  del
piano. 
    A parte il  gravissimo  groviglio  legislativo  che  si  viene  a
produrre attraverso una legislazione che caoticamente  sovrappone  le
disposizioni l'una all'altra e che gia' di per se' viola il principio
della certezza del diritto, coessenziale allo Stato di diritto  (come
codesta stessa Corte ha piu' volte sottolineato), sembra evidente che
non e' possibile ricomprendere nei poteri conferiti al Governo  dalla
legge di delega la modifica di cio' che il  legislatore  parlamentare
ha  disciplinato  dopo   il   conferimento   della   delega   stessa.
L'espressione costituzionale «oggetti definiti» rifiuta l'ipotesi che
in essa sia fatta rientrare  anche  la  disciplina  di  cio'  che  al
momento della delega non esisteva  affatto,  e  che  solo  una  legge
successiva avrebbe introdotto; ne', d'altra  parte,  e'  immaginabile
che il Parlamento autorizzi implicitamente il  Governo  a  modificare
cio' che il Parlamento statuira' in seguito. 
    Tutto all'opposto, vale quanto e' stato autorevolmente  sostenuto
in dottrina, cioe' che con la delega il Parlamento non si  priva  del
potere  di  revocare  la  delegazione   legislativa   attraverso   il
successivo esercizio del potere legislativo;  «mentre  la  delega  va
conferita espressamente, la revoca  puo'  essere  implicita,  qualora
effettuata mediante l'approvazione di leggi disciplinanti la  materia
delegata, prima ancora che siano stati emanati i conseguenti  decreti
legislativi» (Paladin, Le fonti del diritto italiano,  Bologna  1996,
205; Sorrentino, Le fonti del diritto italiano, Padova 2009, 128). 
    Per  cui  le  leggi  emanate   dal   Parlamento   successivamente
all'entrata in vigore  della  legge  di  delega,  se  si  trovano  in
contrasto  con  essa,   ne   operano   la   (parziale)   abrogazione,
restringendo di conseguenza il potere legislativo il cui esercizio e'
delegato. Alla stessa stregua si deve ritenere che  quanto  stabilito
dallo stesso legislatore nella materia oggetto della delega  dopo  il
suo conferimento  vale  a  delimitare  l'estensione  dei  principi  e
criteri direttivi, ponendo una disciplina  direttamente  parlamentare
che  il  legislatore  delegato   e'   tenuto   a   rispettare,   pena
l'illegittimita' costituzionale di quanto da esso disposto. 
    Ora, l'art. 2, comma 1, del decreto  n.  149,  disciplinando  con
nuove norme le procedure di rientro dal disavanzo sanitario, modifica
la disciplina introdotta dalla legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2
cc. 77 ss., violando percio' un limite implicito posto  dall'art.  76
Cost. alla legislazione delegata. 
    La Regione ha interesse a far valere tale violazione,  in  quanto
essa si traduce in  restrizione  della  sua  autonomia  e  dunque  in
violazione  della  propria  competenza   costituzionale,   anche   in
collegamento con le ulteriori censure qui prospettate. 
    3.  Illegittimita'  dell'art.  2,  commi  1  e  2,  per   diretta
violazione dell'art. 126 Cost. 
    Si e' sopra lamentato che l'applicazione dei  meccanismi  di  cui
all'art. 126 Cost. operata dai commi 1 e 2 dell'art.  2  del  decreto
impugnato viola la legge di delega. 
    Tuttavia, come anticipato allora, tali disposizioni costituiscono
altresi' violazione diretta dell'art. 126  Cost.,  che  subordina  la
rimozione del Presidente e lo scioglimento  del  Consiglio  regionale
alla circostanza che essi abbiano compiuto gravi violazioni di legge. 
    Infatti una «grave violazione di legge» presuppone la sussistenza
di fatti specifici e puntuali, che costituiscono  violazione  di  non
meno   specifiche   e   puntuali    disposizioni    legislative    (o
costituzionali): e' la ingiustificata persistenza  della  violazione,
nonostante la ripetuta sollecitazione  a  rimuoverla,  che  puo'  far
scattare, come extrema ratio, la sanzione contro gli organi regionali
che volutamente hanno persistito nel loro indebito comportamento. 
    Insomma, vi e' grave violazione  solo  se  gli  organi  regionali
tengono uno specifico  comportamento,  in  contrasto  con  specifiche
norme, comportamento che a seguito della contestazione potrebbero far
cessare. Cio' vale necessariamente - se si vuole restare  nell'ambito
dell'art. 126 Cost. -  anche  per  le  violazioni  che  conducano  al
dissesto finanziario. 
    In  assenza  di  prassi  applicativa  e,   di   conseguenza,   di
interpretazione giudiziale, la dottrina  e'  da  sempre  unanime  nel
ritenere che  la  formulazione  costituzionale  e  le  corrispondenti
espressioni  impiegate  dagli  statuti  speciali  (che   parlano   di
«reiterate e gravi violazioni di legge») esprimano la necessita'  che
i comportamenti illegittimi abbiano un certo  grado  di  frequenza  e
intensita', ma anche di intenzionalita', come  era  gia'  emerso  nei
lavori dell'Assemblea costituente (cfr. Costanzo, art. 126, in  Comm.
alla Costituzione, a  cura  di  Branca-Pizzorusso,  p.  367  ss.;  De
Fiores,  art.  126,  in  Comm.   alla   Costituzione,   a   cura   di
Bifulco-Celotto-Olivetti, p. 2492). 
    4. Illegittimita' dell'art. 2,  comma  2,  per  violazione  degli
articoli 100, 103 secondo  comma  e  24  Cost.  e  del  principio  di
ragionevolezza. 
    Il  comma  2  riconnette  la  sanzione  dello  scioglimento   del
Consiglio regionale e della rimozione del Presidente della Giunta per
responsabilita' politica,  tra  l'altro,  all'accertamento  da  parte
della Corte dei conti della sussistenza delle condizioni  di  cui  al
comma 1 (condizioni che devono verificarsi  congiuntamente)  e  della
loro riconduzione «alla diretta responsabilita',  con  dolo  o  colpa
grave, del Presidente della Giunta regionale». 
    Naturalmente la Regione  non  contesta  che  -  ove  in  denegata
ipotesi apparissero  costituzionalmente  legittime  -  le  gravissime
sanzioni prospettate dalle norme impugnate debbano  essere  precedute
da un rigoroso accertamento della effettiva e  grave  responsabilita'
personale. 
    Ritiene tuttavia che l'attribuzione di tale  compito  alla  Corte
dei conti, nei termini in  cui  la  disposizione  e'  formulata,  sia
costituzionalmente illegittima, segnatamente,  per  violazione  degli
articoli 100, 103, comma 2 e 24 Cost. 
    Tale accertamento  risulta  infatti  attribuito  alla  Corte  dei
conti, senza che la norma specifichi se a tal fine  la  Corte  agisca
nell'ambito delle sue attribuzioni di controllo, ovvero quale  organo
di giurisdizione. 
    Ad ammettere che il legislatore, nella frettolosita' con  cui  ha
provveduto  alla  redazione  della  norma  in  esame,  abbia   inteso
riferirsi ad un accertamento da eseguirsi in relazione ai compiti  di
controllo collaborativo, diffusamente ascrivibili oggi  alle  Sezioni
di controllo della Corte dei conti  anche  in  relazione  alla  spesa
sanitaria e al raggiungimento degli obbiettivi dei Piani di  rientro,
deve escludersi che, al di la'  dell'accertamento  della  sussistenza
delle condizioni di cui al comma 1, possa  legittimamente  ammettersi
che, in correlazione alla suddetta attivita' di controllo, le  stesse
Sezioni possano accertare la diretta responsabilita'  del  Presidente
della Regione e la imputabilita' allo stesso  del  verificarsi  delle
condizioni di cui al comma 1, a titolo di dolo o di colpa grave. 
    Secondo quanto evidenziato da codesta Ecc.ma Corte nella sentenza
n. 29/1995, la funzione di controllo successivo sulla gestione e' ben
distinta rispetto a quella giurisdizionale, per quanto la titolarita'
congiunta di tali funzioni in capo alla Corte dei conti  consenta  di
utilizzare le notizie o gli elementi raccolti nel corso del controllo
di gestione, anche ai fini del giudizio di responsabilita' e ai  fini
della   imputabilita',   ad   un    determinato    soggetto,    della
responsabilita' del pregiudizio a lui ascrivibile per  dolo  o  colpa
grave. 
    In nessun caso e', dunque, consentita la commistione fra poteri e
funzioni  che  sono  diversi  e,  soprattutto,  la  possibilita'   di
ascrivere all'organo  di  controllo  un  potere  di  sindacato  sulla
sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi su cui si fonda la
funzione giurisdizionale della stessa Corte. 
    Ove, cioe', la norma abbia inteso ricondurre  tale  accertamento,
in  funzione  dello  specifico  meccanismo  sanzionatorio,   previsto
dall'art. 2, comma 2, ad una ibrida  ed  onnicomprensiva  funzione  a
cio' strumentale, della Corte dei conti, ovvero alla stessa  funzione
di   controllo   collaborativo,   da    intendersi    esteso    anche
all'accertamento delle condizioni  soggettive  ed  oggettive  per  il
riconoscimento della responsabilita' personale del  soggetto  agente,
risulterebbe piu' che evidente  l'incostituzionalita'  della  stessa,
per violazione dei parametri costituzionali di  cui  all'art.  100  e
all'art. 103, comma 2 Cost., oltre che all'art. 24 Cost., secondo cui
la diretta responsabilita' per  dolo  o  colpa  grave  non  puo'  che
scaturire da un procedimento  (giurisdizionale),  caratterizzato  dal
rispetto del principio del contraddittorio e dal pieno riconoscimento
degli inviolabili diritti di difesa. 
    Se, al contrario, la disposizione dovesse essere letta nel  senso
del concorso, ai fini degli accertamenti di cui sopra, della funzione
di controllo con quella giurisdizionale e, quindi, nel  senso  di  un
coinvolgimento della Corte dei conti nella duplice veste di organo di
controllo e di organo  di  giurisdizione  (il  che,  pero',  parrebbe
escluso dalla circostanza che  in  altre  disposizioni  del  medesimo
decreto legislativo, come ad esempio l'art. 6  sulla  responsabilita'
politica del Presidente della Provincia e del Sindaco, in cui  si  ha
riguardo al riconoscimento della responsabilita' per darmi  cagionati
con dolo o colpa grave «anche nel giudizio di primo grado»,  dove  il
riferimento  alla  funzione   giurisdizionale   e'   esplicito),   la
disposizione sarebbe  ugualmente  incostituzionale,  per  violazione,
sotto altro profilo, degli articoli 100, 103, comma 2 e 24 Cost., sul
presupposto  di  un  implicito,  ma  non  dichiarato   riconoscimento
dell'esistenza  dell'elemento  oggettivo  del  danno  ingiusto,   che
sarebbe, pertanto, ascrivibile ex se  al  fatto  del  grave  dissesto
finanziario  e,  altresi',   alla   mancata   identificazione   della
riconducibilita' del medesimo al dato soggettivo  del  dolo  o  della
colpa grave. 
    Si tratterebbe infatti di un giudizio di responsabilita' erariale
di cui non sono chiare le regole, le modalita'  di  introduzione,  le
garanzie di difesa nelle varie fasi, la competenza ed i gradi. 
    In ogni caso, anche ad ammettere che il legislatore abbia  inteso
subordinare l'irrogazione della sanzione, oltre che al dato oggettivo
del  verificarsi  delle  condizioni   di   cui   al   comma   1,   al
riconoscimento,   nella   sede    consentita    del    giudizio    di
responsabilita', della sussistenza del dolo o della colpa  grave  del
Presidente, con sentenza passata in  giudicato,  l'intero  meccanismo
risulterebbe del tutto irragionevole e  violativo  delle  prerogative
del Presidente e del Consiglio, producendo una  situazione  di  grave
incertezza e di delegittimazione degli  organi  costituzionali  della
Regione,   destinata   a   protrarsi   nel    tempo,    nelle    more
dell'accertamento  della  sussistenza  delle  condizioni   soggettive
suscettibili  di  rilevare  sul  piano  della  loro   responsabilita'
politica, ai sensi dell'art. 126 Cost. 
    Si  consideri  che  le  sanzioni  finirebbero  con   colpire   il
Presidente  responsabile   dopo   anni,   rendendolo   giuridicamente
incandidabile e «non nominabile»: ma nel  frattempo,  la  sua  figura
politica resterebbe «sospesa»,  anticipando  di  fatto  la  sanzione.
Insomma, nella misura in cui davanti alla  Corte  dei  conti  fossero
applicate tutte le garanzie del giusto  processo  -  come  del  resto
sarebbe  costituzionalmente  dovuto  -  la  sanzione  legale  sarebbe
irragionevolmente differita nel tempo. 
    Tutto cio' non fa che mettere in ulteriore rilievo la complessiva
illegittimita' ed incongruita' della  applicazione  di  una  sanzione
prevista dalla Costituzione come  altamente  politica,  di  fronte  a
violazioni gravi di specifiche norme costituzionali o ordinarie, come
rimedio ad una complessa situazione di dissesto, che non ha causa  in
specifiche violazioni, e che non puo' avere rimedio nell'applicazione
del meccanismo indicato. 
    5. Illegittimita' dell'art. 2, comma 3, per violazione  dell'art.
126 Cost. e sotto ulteriori profili. 
    Le disposizioni  del  comma  3  in  tema  di  incandidabilita'  e
non-nominabilita' del Presidente rimosso violano altresi' l'autonomia
legislativa assicurata alla Regione  dall'art.  122,  in  materia  di
sistema di elezione e casi di ineleggibilita' e  di  incompatibilita'
del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale. 
    E' vero che tale autonomia deve  svolgersi,  secondo  l'art.  122
Cost., nel quadro dei  «principi  fondamentali  stabiliti  con  legge
della Repubblica». Ma  nella  disciplina  analitica  contenuta  nella
disposizione  impugnata  non  puo'  certo  definirsi  come  norma  di
principio, destinata ad essere svolta dalla  Regione.  La  disciplina
contenuta nell'art. 2, comma 3, del decreto  legislativo  e'  infatti
evidentemente  autoapplicativa,  e  non  consente  alcun  margine  di
integrazione da parte della legge regionale. 
    In  secondo  luogo,  la  sanzione  gravissima  della  sospensione
dall'esercizio di  un  diritto  costituzionale  fondamentale  per  un
periodo cosi' lungo appare viziata da irragionevolezza  per  mancanza
di proporzionalita', anche in  comparazione  con  le  altre  ipotesi,
attualmente legislativamente previste, di applicazione della sanzione
dell'incandidabilita',  tutte  connesse  a  gravissimi   episodi   di
criminalita'. 
    Infine, la disposizione  del  decreto  delegato  appare  illogica
laddove pretende di disciplinare restrittivamente i poteri di  nomina
dei propri «organi e cariche di Governo» da parte  delle  istituzioni
europee. Potrebbe supporsi che nell'intenzione  dei  redattori  della
disposizione il riferimento dovesse  andare  alle  sole  designazioni
spettanti alla Repubblica italiana dei componenti  delle  istituzioni
comunitarie: ma nella sua formulazione essa sembra da  intendere  nel
senso piu' ampio. 
    6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 5. 
    Il comma 5 disciplina la nomina di «un nuovo commissario ad  acta
per  l'esercizio  delle  competenze  del  Presidente   della   Giunta
regionale  concernenti  l'ordinaria  amministrazione   e   gli   atti
improrogabili», quando gli organi regionali siano  stati  sciolti  ai
sensi del comma 2. Tale nomina  sarebbe  affidata  al  Consiglio  dei
ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze,  di
concerto con il Ministro della salute e sentito  il  Ministro  per  i
rapporti con le regioni e per la coesione territoriale. 
    Il comma 5 risulta illegittimo sotto diversi profili. 
    Esso lo e', in primo  luogo,  in  quanto  connesso  al  censurato
meccanismo di rimozione del Presidente. 
    Esso risulta  altresi'  illegittimo  in  quanto,  in  assenza  di
qualunque fondamento nella legge di delega, sostituisce il meccanismo
di nomina commissariale previsto dall'art. 53 della legge n.  62  del
1953, incongruamente portando  la  nomina  commissariale  nell'ambito
delle  amministrazioni  di  settore,  anziche'  in  quello  ben  piu'
garantista delle  designazioni  parlamentari  e  della  nomina  degli
amministratori straordinari da parte del Presidente della Repubblica. 
    Con il comma 5, invece, l'intera  amministrazione  della  Regione
sarebbe affidata ad un commissario governativo, con palese violazione
della autonomia costituzionale ad essa garantita. 
    Infine, esso e'  illegittimo  per  violazione  del  principio  di
sussidiarieta' e di leale collaborazione,  in  quanto  -  in  assenza
delle garanzie previste  dalla  legge  n.  62  l'autonomia  regionale
dovrebbe  essere  garantita  almeno  dall'intesa   della   Conferenza
Stato-Regioni sulla figura del nominando. 
    7. Illegittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma  7,  nella
parte in cui esso prevede l'applicazione  dell'art.  120  Cost.  alle
ipotesi di mancato «raggiungimento degli obiettivi di servizio». 
    L'art. 2, comma  7,  dispone  che  «con  riguardo  a  settori  ed
attivita' regionali diversi dalla sanita', ove una  regione  dopo  la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni  nonche'  dei
relativi costi standard e la definizione degli obiettivi di servizio,
non provveda alla attuazione dei citati livelli e  al  raggiungimento
degli obiettivi di servizio in coerenza  con  le  previsioni  di  cui
all'art. 18 della legge 5 maggio 2009, n.  42,  il  Presidente  della
Giunta regionale e' nominato commissario ad acta ai sensi dell'art. 8
della citata legge n.  131  del  2003,  per  l'esercizio  dei  poteri
sostitutivi» (enfasi aggiunta). 
    La disposizione prevede  una  ipotesi  di  potere  sostituivo  in
applicazione dell'art. 120 Cost., come e' reso palese dal riferimento
all'art. 8 della legge n. 131  del  2003,  dedicato  alla  attuazione
dell'art. 120 della Costituzione sul potere sostitutivo.  Sennonche',
e' di immediata evidenza che l'art. 120 Cost. si  riferisce  soltanto
alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni, e non  anche  a
generici «obiettivi di servizio», la cui nozione e' sconosciuta  alla
Costituzione. 
III.  Illegittimita'   costituzionale   dell'art.   3   del   decreto
legislativo n. 149/2011 per eccesso di delega (art. 76 Cost.) nonche'
per violazione dell'art. 117, commi terzo e  quarto,  Cost.,  nonche'
del principio di ragionevolezza e proporzionalita'. 
    L'art.  3  stabilisce  un  regime  di  decadenza   automatica   e
interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti. 
    Ad avviso della ricorrente Regione esso  e'  illegittimo  per  le
ragioni gia' esposte  sopra,  al  punto  II,  n.  1,  lettera  b,  in
relazione alla sanzione della  incandicabilita'  e  non-nominabilita'
del Presidente rimosso, cioe' in quanto  esso  risulta  incompatibile
con la legge di delega, e percio' in violazione con l'art. 76 Cost. 
    L'art.    3    infatti    commina    ai     massimi     dirigenti
dell'amministrazione regionale, nonche' ai  revisori  dei  conti,  le
gravissime sanzioni della decadenza  automatica  e  dell'interdizione
che la legge di delega prevede soltanto per gli amministratori  degli
enti locali. 
    Al tempo stesso, ed  a  parte  ogni  considerazione  sulla  grave
incisione che cosi' si produce nei diritti individuali e politici  di
questi dirigenti (per  i  direttori  generali  addirittura  la  norma
sembra escludere persino  l'accertamento  della  responsabilita'),  a
restare illegittimamente violata e'  anche  la  potesta'  legislativa
esclusiva  della   Regione   nell'organizzazione   degli   uffici   e
nell'ordinamento del personale. 
    Per quanto riguarda poi  la  misura  interdittiva  essa  consegue
automaticamente ed in misura predeterminata  e  fissa  di  ben  dieci
anni, senza alcuna possibilita' di graduazione in concreto a  seconda
della gravita' della responsabilita'. 
    In tale materia, il fondamento dell'intervento statale  non  puo'
essere che l'esigenza del coordinamento della finanza  pubblica,  che
tuttavia non si puo'  manifestare  con  disposizioni  dettagliate  ed
autoapplicative. 
    Di qui la violazione dell'art. 117, commi terzo e  quarto,  della
Costituzione.