Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore Vasco Errani, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale 14 novembre 2011, n. 1658 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura a margine del presente atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, dall'avv. prof. Franco Mastragostino di Bologna e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio di quest'ultimo in via Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: degli articoli 2, commi 1, 2, 3, 5 e 7; dell'art. 3; del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, recante Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 20 settembre 2011, n. 219, per violazione: degli articoli 3, 5, 24, 76, 77, comma 1, 97, 100, 103, 114, 117, 118, 119, 120, 121, 122. 123 e 126 della Costituzione; dei principi di leale collaborazione, ragionevolezza e certezza del diritto, per i profili di seguito illustrati. Fatto 1. La legge di delega che sta alla base delle disposizioni impugnate. La legge 5 maggio 2009, n. 42, ha conferito una Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione. L'art. 2, comma 2, di tale legge (Oggetto e finalita') fissa alcuni «principi e criteri direttivi generali», che si affiancano agli «specifici principi e criteri direttivi» fissati in altre specifiche disposizioni della stessa legge. Va qui ricordato in particolare, tra i criteri fissati dal comma 2, quello previsto alla lettera z), ove si contempla: la «premialita' dei comportamenti virtuosi ed efficienti nell'esercizio della potesta' tributaria, nella gestione finanziaria ed economica»; la «previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico-finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione»; la «previsione delle specifiche modalita' attraverso le quali il Governo, nel caso in cui la regione o l'ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all'art. 18 della presente legge abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettera e), che sono commisurate all'entita' di tali scostamenti e possono comportare l'applicazione di misure automatiche per l'incremento delle entrate tributarie ed extra-tributarie, e puo' esercitare nei casi piu' gravi il potere sostitutivo di cui all'art. 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilita' amministrativa e finanziaria». L'art. 17, comma 1, lettera e) legge n. 42/2009, al quale si riferisce la disposizione ultima citata, prevede, tra l'altro: la «introduzione nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica di un sistema sanzionatorio che, fino alla dimostrazione della messa in atto di provvedimenti, fra i quali anche l'alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell'ente nonche' l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva, atti a raggiungere gli obiettivi, determini il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e di iscrivere in bilancio spese per attivita' discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell'ente locale per l'attuazione delle politiche comunitarie»; la «previsione di meccanismi automatici sanzionatori degli organi di Governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilita' nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui all'art. 244 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici.» (enfasi aggiunta). La stessa disposizione precisa poi che «tra i casi di grave violazione di legge di cui all'art. 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attivita' che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali» (enfasi aggiunta). Sul piano procedurale, l'art. 2, comma 3, legge n. 42/2009 stabilisce che «gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere», e che «in mancanza di intesa nel termine di cui all'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri delibera, approvando una relazione che e' trasmessa alle Camere»; si aggiunge che «nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non e' stata raggiunta». Nel comma 5 si ribadisce che «il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni e gli enti locali». 2. Il decreto legislativo n. 149 del 2011. A tali norme il Governo ha ritenuto di dare attuazione con il decreto legislativo n. 149/2011, intitolato Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42. In primo luogo e' da sottolineare che l'intesa non e' stata raggiunta. Nella relazione deliberata dal Consiglio dei ministri (doc. 2) ai sensi del succitato art. 2, comma 3, il Governo ha addotto le seguenti ragioni: «in primo luogo, il Governo ritiene che il provvedimento sia del tutto conforme a Costituzione, oltre che ai principi e criteri direttivi della legge delega n. 42 del 2009, e che esso individui meccanismi e procedure per una piena realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla legge»; «in secondo luogo, il Governo ha dovuto tenere conto dei tempi a disposizione per il rispetto dei termini previsti dalla legge per l'esercizio della delega, di imminente scadenza»; «inoltre, i rappresentanti delle autonomie territoriali in Conferenza unificata non hanno ritenuto di potere sancire l'intesa, neppure subordinatamente all'accoglimento di alcune modificazioni significative per le quali il Governo aveva prospettato ampia disponibilita'». Sin d'ora e' agevole rilevare la mancanza di reali «specifiche motivazioni» e l'assoluta genericita' delle ragioni addotte, anche considerando il fatto che neppure il verbale della seduta del 18 maggio 2011 (doc. 3) spiega perche' il Governo ritenga infondati i rilievi sollevati dagli enti territoriali ne' indica le modifiche che esso sarebbe stato disposto ad apportare (peraltro, tale disponibilita' non risulta dal verbale del 18 maggio 2011, ove si accenna solo, genericamente, ad una «disponibilita' ... a proseguire il confronto con le Regioni e gli Enti locali nell'ulteriore iter del provvedimento in esame»). L'art. 2 decreto legislativo n. 149/2011 e' intitolato Responsabilita' politica del presidente della giunta regionale. Al comma 1 esso introduce la «fattispecie di grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario». Questa «si verifica in una regione assoggettata a piano di rientro ai sensi dell'art. 2, comma 77, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, al verificarsi congiuntamente delle seguenti condizioni: a) il presidente della giunta regionale, nominato Commissario ad acta ai sensi dell'art. 2, rispettivamente commi 79 e 83, della citata legge n. 191 del 2009, non abbia adempiuto, in tutto o in parte, all'obbligo di redazione del piano di rientro o agli obblighi operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso; b) si riscontri, in sede di verifica annuale, ai sensi dell'art. 2, comma 81, della citata legge n. 191 del 2009, il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con conseguente perdurare del disavanzo sanitario oltre la misura consentita dal piano medesimo o suo aggravamento; c) sia stato adottato per due esercizi consecutivi, in presenza del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro e del conseguente incremento delle aliquote fiscali di cui all'art. 2, comma 86, della citata legge n. 191 del 2009, un ulteriore incremento dell'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF al livello massimo previsto dall'art. 6 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68». Il comma 2 dispone che il «grave dissesto finanziario di cui al comma 1 "costituisce" grave violazione di legge», e che «in tal caso con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'art. 126, comma primo, della Costituzione, sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale nonche' la rimozione del Presidente della Giunta regionale per responsabilita' politica nel proprio mandato di amministrazione della regione, ove sia accertata dalla Corte dei conti la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1 e la loro riconduzione alla diretta responsabilita', con dolo o colpa grave del Presidente della Giunta regionale» (enfasi aggiunta). Il decreto del Presidente della Repubblica «e' adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere conforme della Commissione parlamentare per le questioni regionali espresso a maggioranza di due terzi dei componenti», ed alla riunione del Consiglio dei Ministri «partecipa il Presidente della Giunta regionale interessato». In base al comma 3 «il Presidente rimosso ai sensi del comma 2 e' incandidabile alle cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni»; inoltre, esso «non puo' essere nominato quale componente di alcun organo o carica di Governo degli enti locali, delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea per un periodo di tempo di dieci anni». L'art. 3 decreto legislativo n. 149/2011 e' intitolato Decadenza automatica e interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti. Esso dispone al comma 1 che «il verificarsi del grave dissesto finanziario di cui all'art. 2 determina l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 2, comma 79, lettera a), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, in materia di decadenza automatica dei direttori generali e, previa verifica delle rispettive responsabilita' del dissesto, dei direttori amministrativi e sanitari degli enti del Servizio sanitario regionale, del dirigente responsabile dell'assessorato regionale competente, nonche' dei componenti del collegio dei revisori dei conti». Il comma 2 dispone che «agli stessi soggetti di cui al comma 1 si applica altresi' l'interdizione da qualsiasi carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici per un periodo di tempo di dieci anni»; che la sanzione dell'interdizione «e' irrogata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale» e che «il giudizio sulla relativa impugnazione e' devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo». Infine, il comma 3 dispone che «qualora, a seguito della dichiarazione di dissesto, la Corte dei conti accerti gravi responsabilita' nello svolgimento dell'attivita' del collegio dei revisori delle Regioni, ove costituito, e degli enti alle medesime riconducibili, i componenti del collegio riconosciuti responsabili in sede di giudizio della predetta Corte non possono essere nominati nel collegio dei revisori delle regioni, degli enti locali e di altri enti pubblici per un periodo fino a dieci anni, in funzione della gravita' accertata». Dispone inoltre che la Corte dei conti trasmetta «l'esito dell'accertamento anche all'ordine professionale di appartenenza dei revisori per valutazioni inerenti all'eventuale avvio di procedimenti disciplinari». Ad avviso della ricorrente della Regione Emilia-Romagna le succitate norme contenute negli articoli 2 e 3 del decreto legislativo n. 149/2011 risultano illegittime e lesive delle proprie competenze costituzionali per le seguenti ragioni di Diritto I. Illegittimita' costituzionale di tutte le disposizioni impugnate per vizio del procedimento di formazione del decreto legislativo, in relazione alla mancata ricerca dell'intesa e motivazione della mancata intesa. Come esposto in narrativa, l'art. 2 della legge di delega n. 42 del 2009, cosi' disciplina, per quanto qui interessa, il procedimento di adozione dei decreti delegati: «3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con gli altri Ministri volta a volta competenti nelle materie oggetto di tali decreti. Gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere, ciascuno corredato di relazione tecnica che evidenzi gli effetti delle disposizioni recate dal medesimo schema di decreto sul saldo netto da finanziare, sull'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e sul fabbisogno del settore pubblico, perche' su di essi sia espresso il parere della Commissione di cui all'art. 3 e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni dalla trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri delibera, approvando una relazione che e' trasmessa alle Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non e' stata raggiunta. 4. Decorso il termine per l'espressione dei pareri di cui al comma 3, i decreti possono essere comunque adottati. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformita' dall'intesa. 5. Il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni e gli enti locali.». Era dunque prevista la previa intesa con la Conferenza unificata sugli schemi di decreto legislativo da inviare alle Camere, e, per il caso di mancanza di intesa una relazione che indicasse «le specifiche motivazioni per cui l'intesa non e' stata raggiunta». A queste prescrizioni specifiche, che di per se' sarebbero state sufficienti, il legislatore delegante aveva voluto aggiungere una ulteriore prescrizione generale di indirizzo, facendo obbligo al Governo di assicurare, nella predisposizione dei decreti legislativi «piena collaborazione con le regioni e gli enti locali.». Sembra palese che nell'emanazione del decreto legislativo n. 149 del 2011 questo procedimento non e' stato rispettato. Che l'intesa prevista non sia stata raggiunta risulta dal preambolo stesso del decreto. Ci si attenderebbe dunque di ritrovarne le specifiche motivazioni nella Relazione inviata alle Camere. Tuttavia, in essa il Governo si limita a riferire degli incontri in sede tecnica e in sede di Conferenza e della «mancata condivisione - in particolare da parte di Regioni e Comuni - del contenuto del provvedimento», accennando soltanto alle «forti perplessita' sulla costituzionalita' del provvedimento, in modo particolare con riguardo alla disciplina del fallimento politico del Presidente della Giunta regionale». Nulla invece si dice in merito alle specifiche obiezioni sollevate dai rappresentanti delle Regioni e degli enti locali. A questo modo non solo si e' contravvenuto alla legge di delega, ma si e' nella sostanza impedito agli organi parlamentari di valutare nel concreto i motivi della mancata intesa. Lo ha del resto rilevato lo stesso Comitato per la legislazione della Camera dei Deputati. Nel verbale della seduta di mercoledi' 6 luglio 2011 (all. doc. 4) si nota espressamente «che la relazione trasmessa alle Camere da' conto in modo estremamente succinto delle motivazioni per le quali l'intesa non e' stata raggiunta, nonche', in modo altrettanto succinto, delle ragioni che hanno indotto il Governo a procedere, tra le quali si menziona l'esigenza di "tenere conto dei tempi a disposizione per il rispetto dei termini previsti dalla legge per l'esercizio della delega, di imminente scadenza", ancorche' la recentissima legge 8 giugno 2011, n. 85, abbia prorogato i termini per l'esercizio della delega di cui alla legge n. 42 del 2009 dal 21 maggio al 21 novembre 2011, ferma restando, altresi', la possibilita' dello scorrimento del termine finale». Dunque, il Comitato per la legislazione ha esso stesso constatato da un lato che non erano indicate le specifiche motivazioni che la legge richiedeva, dall'altro che il presupposto dell'urgenza accampato come pretesto per la mancata ulteriore ricerca dell'intesa non vi era affatto. Al contrario, il Governo ha preteso di giustificare con l'imminenza della scadenza della delega l'immediata interruzione del dialogo con le Regioni e gli enti locali cosi' fortemente voluto dalla legge n. 42 (che lo ha posto sotto la supervisione agli organi parlamentari), mentre contemporaneamente chiedeva ed otteneva la proroga dei termini di scadenza proprio al fine di ... rispettare il procedimento prescritto. Sembra dunque evidente che e' stata violata non solo la lettera delle specifiche disposizioni dettate dal legislatore delegante, ma anche la norma generale di indirizzo, che richiedeva uno spirito di collaborazione, e dunque un tenace tentativo di ricerca dell'intesa. Si deve concludere che il procedimento prescritto dalla legge di delega e' stato ridotto dal Governo ad un passaggio procedurale meramente formale, che non risponde ne' nella lettera ne' nello spirito ai requisiti posti dalla legge, a tutela delle prerogative sia delle Regioni e degli enti locali, sia degli organi parlamentari chiamati a vigilare che il Governo abbia assicurato - come prevede il comma 5 dell'art. 2 - la «piena collaborazione con le regioni e gli enti locali». Da qui la violazione degli articoli 76 e 114 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione. II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo n. 149/2011. 1. Illegittimita' per eccesso di delega (art. 76 Cost.). La presente censura e' rivolta ad illustrare come le disposizioni impugnate dell'art. 2 del decreto legislativo n. 149 del 2011 non solo siano lesive dell'autonomia regionale, ma violino in piu' punti i principi costituzionali della delegazione legislativa, introducendo norme e istituti che non sono in alcun modo «anticipati» dalla legge di delega n. 42 del 2009. E' infatti principio fermo che in fase di emanazione del decreto legislativo, il Governo non possa introdurre principi o istituti nuovi rispetto a quelli previsti dalla legislazione vigente, se non appositamente autorizzato da un principio indicato nella legge di delega. Tale principio e' pienamente confermato dalla giurisprudenza costituzionale: per l'illustrazione si puo' fare riferimento, tra le tante, alle sentenze della Corte cost. 354/1998 (sul codice della strada), 280/2004 (a proposito della c.d. «legge La Loggia») e 340/2007 (sul processo contumaciale), 239/2003, 66/2005. Spetta dunque alla legge di delega «aprire i varchi» per l'innovazione legislativa, perche' in assenza di specifiche indicazioni di delega l'attivita' legislativa svolta dal Governo incontra un suo limite «naturale» nella legislazione vigente, che il legislatore delegato e' allora chiamato ad integrare, ma non a contraddire. La giurisprudenza costituzionale lo ha indicato con specifico riferimento alle leggi di riordino, ma affermando una ratio che si estende all'istituto stesso della delegazione legislativa: «in mancanza di principi e criteri direttivi che giustifichino la riforma della normativa preesistente, la delega deve essere intesa in senso minimale, tale da non consentire, di per se', l'adozione di norme delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo» (cosi' espressamente la sentenza n. 303/2005). Se e' pur vero che «i principi e i criteri direttivi della legge di delegazione devono essere interpretati sia tenendo conto delle finalita' ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte operate dal legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge-delega» (sentenza 341/2007), non si puo' certo ammettere un'interpretazione della delega a tal punto espansiva da consentire al Governo di ricavarne l'autorizzazione a modificare, senza specifiche indicazioni in tal senso, tratti rilevantissimi dell'assetto istituzionale delle Regioni e degli enti locali, in una direzione che gravemente incide sulle norme che la Costituzione appresta a garanzia dell'autonomia regionale. Ora, come esposto in narrativa, la legge n. 42/2009 contiene due disposizioni che servono a guidare il Governo nell'attuazione della delega per quanto riguarda i meccanismi sanzionatori nei confronti degli enti che siano responsabili di un dissesto finanziario: la lettera z) dell'art. 2 sollecita la «previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico-finanziari» ... e la «previsione delle specifiche modalita' attraverso le quali il Governo, ... qualora gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all'art. 18 della presente legge abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettera e), che sono commisurate all'entita' di tali scostamenti e possono comportare l'applicazione di misure automatiche per l'incremento delle entrate tributarie ed extra-tributarie, e puo' esercitare nei casi piu' gravi il potere sostitutivo di cui all'art. 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilita' amministrativa e finanziaria»; la lettera e) del successivo art. 17 prevede a sua volta «meccanismi automatici sanzionatori degli organi di Governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali» con la specifica previsione che «tra i casi di grave violazione di legge di cui all'art. 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attivita' che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali». Dalla lettura combinata delle due disposizioni si ricava che il decreto delegato puo' prevedere: a) misure automatiche per l'incremento delle entrate al fine di rimediare agli scostamenti permanenti e sistematici dal patto di stabilita', giungendo sino all'esercizio del potere sostitutivo ex art. 120, comma 2, Cost. (in questo senso si esprime l'art. 2, lettera z); b) meccanismi automatici sanzionatori a carico degli organi politici e amministrativi colpevoli del mancato rispetto degli equilibri ed obiettivi economico finanziari, giungendo sino alla configurazione del grave dissesto nelle finanze regionali come ipotesi di «grave violazione di legge» che porta allo scioglimento degli organi regionali ex art. 126 Cost. Questi sono dunque gli oggetti che il legislatore ha affidato al decreto legislativo, che segnano anche i limiti della delega. Inoltre, bisogna tenere conto della circostanza che, come subito si dira', lo stesso legislatore ha continuato ad esercitare il potere legislativo, precisando esso stesso il tipo di svolgimento che intendeva dare alla legislazione in materia. a. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, per eccesso di delega (art. 76 Cost.) in quanto introduce la autonoma fattispecie di grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario e collega ad esso la rimozione del Presidente della Giunta regionale. L'art. 2 del decreto legislativo n. 149/2011 si presenta come attuazione delle norme sopra indicate della legge di delega, ma in realta' se ne allontana sotto tre profili essenziali: in quanto crea una autonoma fattispecie di grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario; in quanto collega a tale «fattispecie», anziche' a specifiche gravi violazioni di legge, la rimozione del Presidente della Giunta regionale ai sensi dell'art. 126 Cost.; infine, in quanto collega tale rimozione alle attivita' che il Presidente della Regione compie non in quanto tale, ma nella sua opera di Commissario statale nominato dal Governo. Sotto tutti questi profili l'art. 2 del decreto legislativo n. 149/2011 introduce una disciplina che esorbita dal potere conferito dalla legge di delega, interpretandolo in modo palesemente incompatibile con la Costituzione. In primo luogo, il decreto legislativo impugnato, nell'art. 2, estende alla Regione un regime - quello del dissesto finanziario - che e' tipico degli enti locali. Nella legge di delega non c'e' alcun fondamento che giustifichi questa estensione: manca qualsiasi riferimento alla «fattispecie di grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario», fattispecie che di conseguenza e' «creata ex novo» dal legislatore delegato. Questa innovazione introduce per le Regioni un istituto del tutto nuovo, di gravissima portata giuridica, simbolica e politica: ma essa manca del necessario apporto «di principio» da parte della legge n. 42/2009. Infatti, l'art. 17, lettera e) si riferisce genericamente ad una situazione di grave dissesto delle finanze regionali come premessa per far scattare il procedimento di scioglimento degli organi regionali, ove ne ricorrano i presupposti. Non si puo' certo negare che anche il dissesto finanziario possa essere causato da «gravi violazioni di legge» e quindi far scattare la gravissima sanzione dello scioglimento. Si noti - ed e' il secondo profilo qui considerato - che la legge di delega afferma che «tra i casi di grave violazione di legge di cui all'art. 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attivita' che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali» (enfasi aggiunta): ma cio' non autorizza certo a concludere che il grave dissesto - che in ogni caso non coincide con la «fattispecie» sopra censurata - sia o possa essere di per se' la grave violazione di legge. Al contrario, sono le specifiche violazioni che potranno essere ritenute gravi quando conducono al dissesto. In questo senso la disposizione della legge di delega e' perfettamente compatibile con l'interpretazione consolidata dell'art. 126 Cost. (si ricorda che «anche per le leggi di delega vale il fondamentale canone per cui deve essere preferita l'interpretazione che le ponga al riparo da sospetti di incostituzionalita'»: sentenza 292/2000): ma per la stessa ragione invece l'interpretazione che l'art. 2 comma 2 - in connessione con il comma 1 - ne ha dato contrasta con la legge di delega. E' dunque del tutto illegittima l'introduzione di un nuovo regime complessivo (la «fattispecie» di grave dissesto finanziario sanitario) e la connessione automatica di questa fattispecie alla sanzione dello scioglimento. Tale connessione costituisce anche - come si dira' - violazione diretta dell'art. 126 Cost., ma qui viene prima ancora in rilievo come violazione della legge di delega. Ai due profili indicati di violazione della delega si aggiunge il terzo pure sopra annunciato: il meccanismo automatico della rimozione del Presidente della Regione non viene fatto dipendere dal comportamento del Presidente della Regione in quanto tale, ma in quanto commissario dal Governo, ai sensi dell'art. 2, commi 79 e 83, della legge n. 191 del 2009. Ora, se e' vero che vi e' coincidenza personale necessaria (peraltro per scelta della stessa legge statale) tra la figura del commissario governativo e quella del Presidente della Regione, cio' non basta a superare il rilievo che le due figure sono istituzionalmente e giuridicamente diverse. La gestione commissariale viene quindi a sostituirsi alla gestione da parte dell'organo ordinario, che rappresenta il vertice politico della Regione. Il Commissario e' infatti responsabile nei confronti del Governo, che in principio ha potere di indirizzo nei suoi confronti; il Presidente e' invece responsabile nei confronti dell'Assemblea regionale, che mantiene nei suoi confronti (e nei termini definiti dallo Statuto) il potere di indirizzo politico. Appare di conseguenza del tutto incongruo che al Presidente della Regione, in quanto organo politico, si comminino sanzioni assai rilevanti sul piano politico imputandogli comportamenti tenuti nella veste commissariale, nella quale egli opera in raccordo con gli organi di governo statali. Anche di cio' non c'e' la minima traccia nella legge di delega, che prospetta lo scioglimento come sanzione alle gravi violazioni di legge, che portino al dissesto, compiute dal Presidente, e non certo dal Commissario nominato dal Governo stesso. b. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3, per eccesso di delega in quanto sancisce l'incandidabilita' e la non-nominabilita' del Presidente rimosso. Il comma 3 dell'art. 2 prevede che il Presidente della Regione, rimosso ai sensi del secondo comma, sia «incandidabile alle cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di dieci anni», aggiungendo che lo stesso non possa, per lo stesso periodo, «essere nominato quale componente di alcun organo o carica di governo degli enti locali, delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea». Ad avviso della ricorrente Regione, tale disposizione viola la legge di delega - con violazione dell'autonomia regionale - sotto diversi profili. In primo luogo, per la ragione che la legge di delega non pone gli organi regionali tra i possibili destinatari delle sanzioni sopra indicate. Lo si constata facilmente esaminando i tre meccanismi legislativi specifici che il legislatore delegato e' autorizzato dalla legge di delega ad introdurre: a) il sistema premiale e' destinato ad applicarsi nei confronti degli enti «virtuosi» secondo i parametri indicati, e l'espressione enti e' cosi' ampia da potervi comprendere sia le regioni che gli enti locali; b) un sistema sanzionatorio, riservato agli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica, da applicarsi in via transitoria («fino alla dimostrazione della messa in atto di provvedimenti, fra i quali anche l'alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell'ente nonche' l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva»), e consistente (1) nel divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche, (2) nel divieto di iscrivere in bilancio spese per attivita' discrezionali (fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell'ente locale per l'attuazione delle politiche comunitarie); anche questo sistema si applica sia alle Regioni che agli enti locali; c) vi sono infine i meccanismi automatici sanzionatori degli organi di Governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali. Questi meccanismi sono individuati nella legge di delega in (1) casi di ineleggibilita' nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui all'art. 244 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, (2) casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici, e (3) attivazione dei poteri sanzionatori ex art. 126 Cost., equiparando ai casi di grave violazione di legge ivi previsti «le attivita' che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali». Ora, mentre i meccanismi previsti ai numeri 2) e 3) sono sicuramente riferibili tanto alle Regioni che agli enti locali, il meccanismo sub 1) e' chiaramente riferito dalla legge agli enti locali e solo ad essi. Proprio percio', del resto, la legge di delega fa riferimento espresso all'art. 244 del TUEL, decreto legislativo n. 267/2000. Dunque, l'introduzione di un meccanismo automatico che sanziona l'ipotesi di dissesto finanziario riferibile alle Regioni, con le conseguenze previste dall'art. 2, comma 3, del decreto legislativo n. 149, cioe' la incandidabilita' del Presidente «rimosso» e la sua «non nominabilita'» risultano chiaramente fuori dalle misure che il Governo delegato era autorizzato ad assumere. La violazione viene in considerazione qui come violazione della legge di delega, che si traduce in restrizione dell'autonomia regionale: ma essa, come si dira', costituisce altresi' violazione dell'autonomia legislativa assicurata alla Regione dall'art. 122, in materia di sistema di elezione e casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale. In secondo luogo, la stessa disposizione viola la legge di delega, in danno dell'autonomia regionale, anche in quanto essa introduce la sanzione della «incandidabilita'» laddove la legge di delega parla soltanto di «ineleggibilita'» degli amministratori degli enti dichiarati in stato di dissesto finanziario. Le due figure sono radicalmente diverse per ratio e per disciplina giuridica, come la giurisprudenza costituzionale ha sempre sottolineato (si vedano per esempio le sentenze 377/2003 132/2001 84/2006). Inoltre, laddove la legge di delega prevede che possano essere individuati i «casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici», l'art. 2, comma 3, nella seconda parte della norma, estende invece l'interdizione alle cariche di enti e organi «politici» che nulla hanno a che fare con quelli indicati nella legge n. 42. Cio' a prescindere dal difetto di ragionevolezza e di proporzionalita' della sanzione, su cui si tornera' tra breve. 2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1 per contrasto con legislazione parlamentare successiva alla delega. Sotto questo profilo ha rilevanza e precedenza logica la censura dell'art. 2, comma 1, del decreto n. 149/2001, in quanto la disciplina che essi introducono a proposito del disavanzo sanitario e del regime di rientro incide sulla legislazione emanata dal Parlamento successivamente all'entrata in vigore della legge di delega. Infatti le norme dell'art. 1 del decreto legislativo n. 149 vanno a modificare ampiamente le previsioni contenute dall'art. 2, comma 77 e seguenti, della legge n. 191 del 2009, relativa ai piani di rientro dal disavanzo finanziario, collegando una nuova e diversa catena di effetti sanzionatori alla mancata realizzazione degli obiettivi del piano. A parte il gravissimo groviglio legislativo che si viene a produrre attraverso una legislazione che caoticamente sovrappone le disposizioni l'una all'altra e che gia' di per se' viola il principio della certezza del diritto, coessenziale allo Stato di diritto (come codesta stessa Corte ha piu' volte sottolineato), sembra evidente che non e' possibile ricomprendere nei poteri conferiti al Governo dalla legge di delega la modifica di cio' che il legislatore parlamentare ha disciplinato dopo il conferimento della delega stessa. L'espressione costituzionale «oggetti definiti» rifiuta l'ipotesi che in essa sia fatta rientrare anche la disciplina di cio' che al momento della delega non esisteva affatto, e che solo una legge successiva avrebbe introdotto; ne', d'altra parte, e' immaginabile che il Parlamento autorizzi implicitamente il Governo a modificare cio' che il Parlamento statuira' in seguito. Tutto all'opposto, vale quanto e' stato autorevolmente sostenuto in dottrina, cioe' che con la delega il Parlamento non si priva del potere di revocare la delegazione legislativa attraverso il successivo esercizio del potere legislativo; «mentre la delega va conferita espressamente, la revoca puo' essere implicita, qualora effettuata mediante l'approvazione di leggi disciplinanti la materia delegata, prima ancora che siano stati emanati i conseguenti decreti legislativi» (Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996, 205; Sorrentino, Le fonti del diritto italiano, Padova 2009, 128). Per cui le leggi emanate dal Parlamento successivamente all'entrata in vigore della legge di delega, se si trovano in contrasto con essa, ne operano la (parziale) abrogazione, restringendo di conseguenza il potere legislativo il cui esercizio e' delegato. Alla stessa stregua si deve ritenere che quanto stabilito dallo stesso legislatore nella materia oggetto della delega dopo il suo conferimento vale a delimitare l'estensione dei principi e criteri direttivi, ponendo una disciplina direttamente parlamentare che il legislatore delegato e' tenuto a rispettare, pena l'illegittimita' costituzionale di quanto da esso disposto. Ora, l'art. 2, comma 1, del decreto n. 149, disciplinando con nuove norme le procedure di rientro dal disavanzo sanitario, modifica la disciplina introdotta dalla legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2 cc. 77 ss., violando percio' un limite implicito posto dall'art. 76 Cost. alla legislazione delegata. La Regione ha interesse a far valere tale violazione, in quanto essa si traduce in restrizione della sua autonomia e dunque in violazione della propria competenza costituzionale, anche in collegamento con le ulteriori censure qui prospettate. 3. Illegittimita' dell'art. 2, commi 1 e 2, per diretta violazione dell'art. 126 Cost. Si e' sopra lamentato che l'applicazione dei meccanismi di cui all'art. 126 Cost. operata dai commi 1 e 2 dell'art. 2 del decreto impugnato viola la legge di delega. Tuttavia, come anticipato allora, tali disposizioni costituiscono altresi' violazione diretta dell'art. 126 Cost., che subordina la rimozione del Presidente e lo scioglimento del Consiglio regionale alla circostanza che essi abbiano compiuto gravi violazioni di legge. Infatti una «grave violazione di legge» presuppone la sussistenza di fatti specifici e puntuali, che costituiscono violazione di non meno specifiche e puntuali disposizioni legislative (o costituzionali): e' la ingiustificata persistenza della violazione, nonostante la ripetuta sollecitazione a rimuoverla, che puo' far scattare, come extrema ratio, la sanzione contro gli organi regionali che volutamente hanno persistito nel loro indebito comportamento. Insomma, vi e' grave violazione solo se gli organi regionali tengono uno specifico comportamento, in contrasto con specifiche norme, comportamento che a seguito della contestazione potrebbero far cessare. Cio' vale necessariamente - se si vuole restare nell'ambito dell'art. 126 Cost. - anche per le violazioni che conducano al dissesto finanziario. In assenza di prassi applicativa e, di conseguenza, di interpretazione giudiziale, la dottrina e' da sempre unanime nel ritenere che la formulazione costituzionale e le corrispondenti espressioni impiegate dagli statuti speciali (che parlano di «reiterate e gravi violazioni di legge») esprimano la necessita' che i comportamenti illegittimi abbiano un certo grado di frequenza e intensita', ma anche di intenzionalita', come era gia' emerso nei lavori dell'Assemblea costituente (cfr. Costanzo, art. 126, in Comm. alla Costituzione, a cura di Branca-Pizzorusso, p. 367 ss.; De Fiores, art. 126, in Comm. alla Costituzione, a cura di Bifulco-Celotto-Olivetti, p. 2492). 4. Illegittimita' dell'art. 2, comma 2, per violazione degli articoli 100, 103 secondo comma e 24 Cost. e del principio di ragionevolezza. Il comma 2 riconnette la sanzione dello scioglimento del Consiglio regionale e della rimozione del Presidente della Giunta per responsabilita' politica, tra l'altro, all'accertamento da parte della Corte dei conti della sussistenza delle condizioni di cui al comma 1 (condizioni che devono verificarsi congiuntamente) e della loro riconduzione «alla diretta responsabilita', con dolo o colpa grave, del Presidente della Giunta regionale». Naturalmente la Regione non contesta che - ove in denegata ipotesi apparissero costituzionalmente legittime - le gravissime sanzioni prospettate dalle norme impugnate debbano essere precedute da un rigoroso accertamento della effettiva e grave responsabilita' personale. Ritiene tuttavia che l'attribuzione di tale compito alla Corte dei conti, nei termini in cui la disposizione e' formulata, sia costituzionalmente illegittima, segnatamente, per violazione degli articoli 100, 103, comma 2 e 24 Cost. Tale accertamento risulta infatti attribuito alla Corte dei conti, senza che la norma specifichi se a tal fine la Corte agisca nell'ambito delle sue attribuzioni di controllo, ovvero quale organo di giurisdizione. Ad ammettere che il legislatore, nella frettolosita' con cui ha provveduto alla redazione della norma in esame, abbia inteso riferirsi ad un accertamento da eseguirsi in relazione ai compiti di controllo collaborativo, diffusamente ascrivibili oggi alle Sezioni di controllo della Corte dei conti anche in relazione alla spesa sanitaria e al raggiungimento degli obbiettivi dei Piani di rientro, deve escludersi che, al di la' dell'accertamento della sussistenza delle condizioni di cui al comma 1, possa legittimamente ammettersi che, in correlazione alla suddetta attivita' di controllo, le stesse Sezioni possano accertare la diretta responsabilita' del Presidente della Regione e la imputabilita' allo stesso del verificarsi delle condizioni di cui al comma 1, a titolo di dolo o di colpa grave. Secondo quanto evidenziato da codesta Ecc.ma Corte nella sentenza n. 29/1995, la funzione di controllo successivo sulla gestione e' ben distinta rispetto a quella giurisdizionale, per quanto la titolarita' congiunta di tali funzioni in capo alla Corte dei conti consenta di utilizzare le notizie o gli elementi raccolti nel corso del controllo di gestione, anche ai fini del giudizio di responsabilita' e ai fini della imputabilita', ad un determinato soggetto, della responsabilita' del pregiudizio a lui ascrivibile per dolo o colpa grave. In nessun caso e', dunque, consentita la commistione fra poteri e funzioni che sono diversi e, soprattutto, la possibilita' di ascrivere all'organo di controllo un potere di sindacato sulla sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi su cui si fonda la funzione giurisdizionale della stessa Corte. Ove, cioe', la norma abbia inteso ricondurre tale accertamento, in funzione dello specifico meccanismo sanzionatorio, previsto dall'art. 2, comma 2, ad una ibrida ed onnicomprensiva funzione a cio' strumentale, della Corte dei conti, ovvero alla stessa funzione di controllo collaborativo, da intendersi esteso anche all'accertamento delle condizioni soggettive ed oggettive per il riconoscimento della responsabilita' personale del soggetto agente, risulterebbe piu' che evidente l'incostituzionalita' della stessa, per violazione dei parametri costituzionali di cui all'art. 100 e all'art. 103, comma 2 Cost., oltre che all'art. 24 Cost., secondo cui la diretta responsabilita' per dolo o colpa grave non puo' che scaturire da un procedimento (giurisdizionale), caratterizzato dal rispetto del principio del contraddittorio e dal pieno riconoscimento degli inviolabili diritti di difesa. Se, al contrario, la disposizione dovesse essere letta nel senso del concorso, ai fini degli accertamenti di cui sopra, della funzione di controllo con quella giurisdizionale e, quindi, nel senso di un coinvolgimento della Corte dei conti nella duplice veste di organo di controllo e di organo di giurisdizione (il che, pero', parrebbe escluso dalla circostanza che in altre disposizioni del medesimo decreto legislativo, come ad esempio l'art. 6 sulla responsabilita' politica del Presidente della Provincia e del Sindaco, in cui si ha riguardo al riconoscimento della responsabilita' per darmi cagionati con dolo o colpa grave «anche nel giudizio di primo grado», dove il riferimento alla funzione giurisdizionale e' esplicito), la disposizione sarebbe ugualmente incostituzionale, per violazione, sotto altro profilo, degli articoli 100, 103, comma 2 e 24 Cost., sul presupposto di un implicito, ma non dichiarato riconoscimento dell'esistenza dell'elemento oggettivo del danno ingiusto, che sarebbe, pertanto, ascrivibile ex se al fatto del grave dissesto finanziario e, altresi', alla mancata identificazione della riconducibilita' del medesimo al dato soggettivo del dolo o della colpa grave. Si tratterebbe infatti di un giudizio di responsabilita' erariale di cui non sono chiare le regole, le modalita' di introduzione, le garanzie di difesa nelle varie fasi, la competenza ed i gradi. In ogni caso, anche ad ammettere che il legislatore abbia inteso subordinare l'irrogazione della sanzione, oltre che al dato oggettivo del verificarsi delle condizioni di cui al comma 1, al riconoscimento, nella sede consentita del giudizio di responsabilita', della sussistenza del dolo o della colpa grave del Presidente, con sentenza passata in giudicato, l'intero meccanismo risulterebbe del tutto irragionevole e violativo delle prerogative del Presidente e del Consiglio, producendo una situazione di grave incertezza e di delegittimazione degli organi costituzionali della Regione, destinata a protrarsi nel tempo, nelle more dell'accertamento della sussistenza delle condizioni soggettive suscettibili di rilevare sul piano della loro responsabilita' politica, ai sensi dell'art. 126 Cost. Si consideri che le sanzioni finirebbero con colpire il Presidente responsabile dopo anni, rendendolo giuridicamente incandidabile e «non nominabile»: ma nel frattempo, la sua figura politica resterebbe «sospesa», anticipando di fatto la sanzione. Insomma, nella misura in cui davanti alla Corte dei conti fossero applicate tutte le garanzie del giusto processo - come del resto sarebbe costituzionalmente dovuto - la sanzione legale sarebbe irragionevolmente differita nel tempo. Tutto cio' non fa che mettere in ulteriore rilievo la complessiva illegittimita' ed incongruita' della applicazione di una sanzione prevista dalla Costituzione come altamente politica, di fronte a violazioni gravi di specifiche norme costituzionali o ordinarie, come rimedio ad una complessa situazione di dissesto, che non ha causa in specifiche violazioni, e che non puo' avere rimedio nell'applicazione del meccanismo indicato. 5. Illegittimita' dell'art. 2, comma 3, per violazione dell'art. 126 Cost. e sotto ulteriori profili. Le disposizioni del comma 3 in tema di incandidabilita' e non-nominabilita' del Presidente rimosso violano altresi' l'autonomia legislativa assicurata alla Regione dall'art. 122, in materia di sistema di elezione e casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale. E' vero che tale autonomia deve svolgersi, secondo l'art. 122 Cost., nel quadro dei «principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica». Ma nella disciplina analitica contenuta nella disposizione impugnata non puo' certo definirsi come norma di principio, destinata ad essere svolta dalla Regione. La disciplina contenuta nell'art. 2, comma 3, del decreto legislativo e' infatti evidentemente autoapplicativa, e non consente alcun margine di integrazione da parte della legge regionale. In secondo luogo, la sanzione gravissima della sospensione dall'esercizio di un diritto costituzionale fondamentale per un periodo cosi' lungo appare viziata da irragionevolezza per mancanza di proporzionalita', anche in comparazione con le altre ipotesi, attualmente legislativamente previste, di applicazione della sanzione dell'incandidabilita', tutte connesse a gravissimi episodi di criminalita'. Infine, la disposizione del decreto delegato appare illogica laddove pretende di disciplinare restrittivamente i poteri di nomina dei propri «organi e cariche di Governo» da parte delle istituzioni europee. Potrebbe supporsi che nell'intenzione dei redattori della disposizione il riferimento dovesse andare alle sole designazioni spettanti alla Repubblica italiana dei componenti delle istituzioni comunitarie: ma nella sua formulazione essa sembra da intendere nel senso piu' ampio. 6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 5. Il comma 5 disciplina la nomina di «un nuovo commissario ad acta per l'esercizio delle competenze del Presidente della Giunta regionale concernenti l'ordinaria amministrazione e gli atti improrogabili», quando gli organi regionali siano stati sciolti ai sensi del comma 2. Tale nomina sarebbe affidata al Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute e sentito il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale. Il comma 5 risulta illegittimo sotto diversi profili. Esso lo e', in primo luogo, in quanto connesso al censurato meccanismo di rimozione del Presidente. Esso risulta altresi' illegittimo in quanto, in assenza di qualunque fondamento nella legge di delega, sostituisce il meccanismo di nomina commissariale previsto dall'art. 53 della legge n. 62 del 1953, incongruamente portando la nomina commissariale nell'ambito delle amministrazioni di settore, anziche' in quello ben piu' garantista delle designazioni parlamentari e della nomina degli amministratori straordinari da parte del Presidente della Repubblica. Con il comma 5, invece, l'intera amministrazione della Regione sarebbe affidata ad un commissario governativo, con palese violazione della autonomia costituzionale ad essa garantita. Infine, esso e' illegittimo per violazione del principio di sussidiarieta' e di leale collaborazione, in quanto - in assenza delle garanzie previste dalla legge n. 62 l'autonomia regionale dovrebbe essere garantita almeno dall'intesa della Conferenza Stato-Regioni sulla figura del nominando. 7. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 7, nella parte in cui esso prevede l'applicazione dell'art. 120 Cost. alle ipotesi di mancato «raggiungimento degli obiettivi di servizio». L'art. 2, comma 7, dispone che «con riguardo a settori ed attivita' regionali diversi dalla sanita', ove una regione dopo la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni nonche' dei relativi costi standard e la definizione degli obiettivi di servizio, non provveda alla attuazione dei citati livelli e al raggiungimento degli obiettivi di servizio in coerenza con le previsioni di cui all'art. 18 della legge 5 maggio 2009, n. 42, il Presidente della Giunta regionale e' nominato commissario ad acta ai sensi dell'art. 8 della citata legge n. 131 del 2003, per l'esercizio dei poteri sostitutivi» (enfasi aggiunta). La disposizione prevede una ipotesi di potere sostituivo in applicazione dell'art. 120 Cost., come e' reso palese dal riferimento all'art. 8 della legge n. 131 del 2003, dedicato alla attuazione dell'art. 120 della Costituzione sul potere sostitutivo. Sennonche', e' di immediata evidenza che l'art. 120 Cost. si riferisce soltanto alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni, e non anche a generici «obiettivi di servizio», la cui nozione e' sconosciuta alla Costituzione. III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3 del decreto legislativo n. 149/2011 per eccesso di delega (art. 76 Cost.) nonche' per violazione dell'art. 117, commi terzo e quarto, Cost., nonche' del principio di ragionevolezza e proporzionalita'. L'art. 3 stabilisce un regime di decadenza automatica e interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti. Ad avviso della ricorrente Regione esso e' illegittimo per le ragioni gia' esposte sopra, al punto II, n. 1, lettera b, in relazione alla sanzione della incandicabilita' e non-nominabilita' del Presidente rimosso, cioe' in quanto esso risulta incompatibile con la legge di delega, e percio' in violazione con l'art. 76 Cost. L'art. 3 infatti commina ai massimi dirigenti dell'amministrazione regionale, nonche' ai revisori dei conti, le gravissime sanzioni della decadenza automatica e dell'interdizione che la legge di delega prevede soltanto per gli amministratori degli enti locali. Al tempo stesso, ed a parte ogni considerazione sulla grave incisione che cosi' si produce nei diritti individuali e politici di questi dirigenti (per i direttori generali addirittura la norma sembra escludere persino l'accertamento della responsabilita'), a restare illegittimamente violata e' anche la potesta' legislativa esclusiva della Regione nell'organizzazione degli uffici e nell'ordinamento del personale. Per quanto riguarda poi la misura interdittiva essa consegue automaticamente ed in misura predeterminata e fissa di ben dieci anni, senza alcuna possibilita' di graduazione in concreto a seconda della gravita' della responsabilita'. In tale materia, il fondamento dell'intervento statale non puo' essere che l'esigenza del coordinamento della finanza pubblica, che tuttavia non si puo' manifestare con disposizioni dettagliate ed autoapplicative. Di qui la violazione dell'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione.